di Luigi Proietti Orzella
Amor mio, quante volte t’ho sognata!
E non soltanto se la notte era calata,
ma anche di giorno, l’occhi miei chiudendo,
m’appariva quel sorriso tuo, stupendo,
che allietava il cuor ferito
di quest’uomo triste ed avvilito.
Perché da quando mi lasciasti solo,
io sol col tuo ricordo mi consolo.
Questa vita è come un nero mare
dove ho gran terrore d’affogare
e sto fermo come un morto a galla
e un’onda dopo l’altra s’accavalla
sul mio corpo dal freddo irrigidito
e coll’animo che sanguina ferito.
Acqua gelida che mi porta alla deriva,
che mi culla in un dolore che mi sbrana,
disperando di raggiungere una riva.
E quando scorgo un’isola lontana,
m’affanno per toccare quella sabbia,
ma mentre m’avvicino mi vien rabbia
perché non era terra! Ma nubi scure
che portan buio grondante di paure.
Muovo lento gli arti miei distrutti
cercando di fuggir da questi flutti,
consolato da un baglior di luna piena
che pietosa addolcisce la mia pena.
Perciò, ogni notte, spero di sognarti.
Ché ogni volta, dop’essermi svegliato,
scrivo svelto quello che ho sognato
per poter ancor un giorno assaporarti
e il mio infinito amor manifestarti.
E capir se eri tu a parlarmi, moglie mia,
oppure era il dolor dell’anima mia.
E’ una spina che mi trapassa il cuore.
I sogni son gioia, ma, son pur dolore
e nell’attesa che a capirli arrivo,
Viviana, quel che sogno io ti scrivo.
Uno, però, non potrò mai dimenticare
che quasi maledissi il mio sognare!
Baciandomi dicesti “Amore, son tornata”,
come quando, dal lavor, eri rientrata.
Sai, s’io fossi morto in quel momento
adesso il mio dolor sarebbe spento,
ché darei la vita per averti ancor amata.
Ma mi svegliai, e ancor più solo, io, mi sento.