di Lina Furfaro
Nella vita ognuno di noi ha avuto maestre e maestri, e ognuno anche per poco lo è stata, lo è stato. Essere maestri, prendere parte alla crescita di chi ci ritroviamo accanto è uno degli aspetti più interessanti, affascinanti dell’umana esistenza. Davanti a bambini e ragazzi ci si presenta con tutto il proprio essere, esperienze, capacità di comunicazione, relazioni: lo si fa quotidianamente nel modo migliore possibile. Dubbi, angosce, timori, gratificazioni tornano, irrompono come boomerang colpendo e lasciando tracce, ma a loro volta insegnando.
Una vita dedicata alla scuola, a dare e ricevere! Insegno dalla fine degli anni ’80 e i primi alunni, quelli di oltre trent’anni fa, sono cresciuti assieme a me, io assieme a loro. La giornata tipica era scandita da momenti alternati: didattica propriamente detta, con nuovi apprendimenti e tempi di distensione e gioco, per poi riprendere qualche altro breve e intenso momento di attività. In questa alternanza emergeva sempre Pierino che inevitabilmente veniva richiamato. Oggi, un aspetto essenziale che all’età di scuola primaria non è più compreso, è quello del semplice “richiamo” in classe quando vengono disattese le regole dell’adulto di riferimento. Dunque non parliamo di sanzioni disciplinari, ma ripeto, il semplice “disapprovo”. Si può ancora esprimere o bisogna evitarlo?
Solitamente l’alunno, con il “richiamo”, modificava gradualmente il comportamento sbagliato smussando gli eccessi, imparando a vivere al meglio tanto lo spazio dedicato alla concentrazione, quanto lo spazio dedicato al gioco/rilassamento.
In questi decenni di esperienza ho notato la metamorfosi che è avvenuta nella società: ogni qualvolta l’alunno non rispetta le regole e viene “ripreso” c’è la reazione del genitore che sentendosi chiamato in causa in quanto tale, tende a entrare nelle pieghe della didattica, frontale o ludica che sia, nella tempistica, nel metodo di studio, nell’ordine delle regole scolastiche, nell’organizzazione… Se il genitore si veste dei panni di docente, prende il suo posto, per cercare di sviscerare la situazione come se fosse stato presente nel contesto dell’aula, viene meno l’autorevolezza dell’insegnante e la motivazione ad apprendere. È da sottolineare che con i propri insegnanti i figli vivono, ridono, si divertono, crescono, si affidano e trascorrono numerose ore dell’esistenza, a volte anche ricevendo un “rimprovero”; un po’ come quotidianamente avviene tra le mura domestiche. In tutto questo tempo scolastico, se nessuno drammatizza, sembrerà strano, ma avviene qualcosa di magico: si crea quell’autorevolezza che dà vita ad un rapporto speciale, un legame, l’affetto tra insegnanti e bambini. Tanto che dopo anni, quando si rivedono, gli ex si presentano con figli e coniuge, amici e riferendo la propria attività (-maestra sono ingegnere, -maestra sono sindaco, – maestra sono dottoressa, -… parrucchiera…) la maestra sente gli occhi lucidi, sorride e abbraccia chi ha davanti, che a sua volta stringe con trasporto.
L’educazione è fondata sul rapporto educatore/educando sul quale si basa la scuola e ogni altro ente formatore. Occorre manifestare pubblicamente su questo, perché è una responsabilità sociale che richiede consapevolezza, maturazione, dialogo…
Nel 1993-‘94 furono introdotti in diverse università i corsi di laurea in scienze dell’Educazione, disciplina che coinvolge la società tutta nel suo complesso per cui è bene di tanto in tanto rispolverarne il senso profondo e la valenza per tutto l’arco di vita del singolo e di quanti vivono intorno a lui. Lavorando quotidianamente a contatto con bambini, senza mai mollare la tensione e l’attenzione verso problematiche incalzanti con protagonisti differenti, è d’obbligo riflettere, in certe circostanze, per fare il punto della situazione.
Il piccolo mondo rappresentato dalla comunità scolastica in cui si vive è il “campo di gioco” dove la squadra si allena alla crescita nonostante l’interferenza di chi in campo non c’è e spesso nemmeno ascolta: è facile stare sugli spalti senza confrontarsi con il bambino, il docente, l’educatore. Tutto riporta a quel prezioso rapporto, fondamentale per poter iniziare, con fatica di mesi, spazi, strumenti e dedizione che nessuno può dare tranne l’educando e l’adulto. Il cambiamento richiede – per la crescita dei nostri figli – collaborazione sul territorio, con le famiglie, sburocratizzazione e nuove intese tra team, esperti che entrano nelle classi… e chi più ne ha più ne metta, perché una cosa è certa: le iniziative di chi ha idee devono essere favorite in ambiente educativo e non frenate per dare spazio all’omologazione.
Che dire ! È un’analisi assolutamente obiettiva e rispondente alla realtà. Occorrerebbe un dibattito pubblico per sensibilizzare gli attori coinvolti , famiglie e scuola , a prendere coscienza di quanto rilevato nell’articolo . Complimenti