di Chiara Alfonsi
Bovillae era la prima località abitata provenendo da Roma lungo la via Appia, al miglio 14, circa dove adesso sorge la frazione di Frattocchie. Gran parte della sua importanza nel corso dei secoli le fu data da questa posizione su quella che era la più importante strada dell’Impero Romano e di tutto il mondo dell’epoca antica, per la guerra e per il commercio.
Di questa piccola città alle porte di Roma si possono tutt’ora ammirare le rovine in una zona che abbraccia i Comuni di Marino e di Ciampino. Essa si estendeva in lungo, adiacente su entrambi i lati della via Appia, partendo da dove adesso c’è la frazione di Casabianca fino all’incrocio chiamato dei “Due Santi”. Era un importante posto di scambio dei cavalli, in quanto ospitava numerose scuderie, di ristoro e riposo, con innumerevoli locande, e di commercio. Nel suo centro abitato si incrociavano appunto l’Appia, che da Roma andava a Brindisi e la strada che dalla Ciociaria portava ad Anzio, collegando gli Appennini al mare. Di questa strada si possono vedere dei resti nella zona dell’Acqua Acetosa nel nostro Comune. La cittadina di Bovillae doveva avere anche una rilevante popolazione, visto che nel suo territorio era stato costruito anche un Circo, prendendo a modello il Circo Massimo.
In questa città avvenne, nel 52 a. C. un fatto gravissimo che ebbe ripercussioni anche sul già traballante rapporto di alleanza tra Giulio Cesare e Pompeo Magno: l’assassinio, in seguito ad un’imboscata, di Publio Clodio Pulcro da parte di Tito Annio Milone, avversari politici che erano, il primo al soldo di Cesare ed il secondo al soldo di Pompeo. Il Triumvirato tra Cesare, Pompeo e Crasso era in crisi profonda dopo la morte di questo ultimo nella battaglia di Carre. Già un anno prima, nel 54, era morta Giulia, amata figlia di Cesare e adorata moglie di Pompeo. Questa donna era stata il collante tra i due Grand’uomini che, si erano legati anche con Crasso per poter trovare un accordo che gli permettesse di governare Roma senza dover rendere di conto al Senato. Grazie a questo, manovrando a dovere la Plebe e i suoi Tribuni, Cesare aveva ottenuto il governo della Gallia Cisalpina e di quella Transalpina e stava iniziando la conquista del territorio immenso che ancora era indipendente, ovvero la Gallia Comata, che si estendeva dal Reno all’Atlantico da est ad ovest e da Narbona alla Manica da sud a nord. Insomma, quella terra che corrisponde alla Francia attuale più il Belgio e parte dell’Olanda là dove sfocia appunto il Reno, confine naturale coi popoli germanici. Dopo la morte di Giulia e di Crasso, come dicevamo, Pompeo si era avvicinato ai più in-fluenti membri conservatori del Senato, cioè Catone l’Uticense, Enobarbo, Bibulo e Metello Scipione, di cui sposò la figlia. Pompeo aspirava alla dittatura e iniziò a pagare personaggi che creassero problemi e disordini, al fine di convincere Roma che ci fosse bi-sogno del pugno duro. Uno di questi personaggi che avevano al proprio comando squadracce di ex gladiatori, era Tito Annio Milone, avversario politico di Publio Clodio Pulcro (il bello). Clodio era discendente del Grande Appio Claudio il Cieco, uomo di estrema rettitudine ed ingegno, il quale fu il primo a dotare Roma di opere pubbliche, tra cui la Via Appia e l’acquedotto Appio. Il suo pronipote, invece era un tipo molto viziato, vendicativo, un demagogo che aveva sposato Fulvia, nipote di Caio Gracco, una donna ricchissima che gli permetteva di poter finanziare ogni iniziativa. Era pericoloso, ed era anche lui a capo di squadracce che imperversavano per Roma. Per cui, prima o poi sarebbero arrivati alla resa dei conti. E quel 18 gennaio del 52 a.C. cadde in una imboscata. Clodio fece l’errore di recarsi alla sua villa in costruzione a Lanuvio senza portarsi dietro la scorta armata. Delle spie avvertirono il suo avversario che ebbe gioco facile per poterlo annientare. Mentre tornava indietro, nella città di Bovillae, arrivò Milone con un gruppo di circa 200 uomini armati. Fu semplice assalirlo e assassinarlo, in quanto lui era seguito soltanto dai propri servi. Alla notizia del suo assassinio gli amici e gli uomini al servizio di Publio Clodio vollero vendicarsi. Questo gettò Roma in una spirale di disordini e di omicidi. A Pompeo Magno fu quindi assegnata la carica di “Console Unico”, che in pratica non era nulla di diverso da quella di Dittatore, ma i romani di quei tempi, a differenza di adesso, badavano molto alla forma e quel termine, che a causa di Silla era significato duro dominio assoluto e terrore, era diventato impronunciabile. Pompeo, oltre a riportare ordine, con le buone e con le cattive, iniziò da quel momento a mettersi contro Cesare su ogni questione che potesse favorirlo. Esautorò il potere dei Tribuni della Plebe, favorevoli a Cesare, capo del Partito Popolare, e gli tolse il comando Militare, rendendolo legalmente indifeso. Ma aveva fatto male i conti: come fu studiato, scritto, decantato nei secoli a venire, Cesare con le sue fedeli truppe di veterani marciò su Roma passando quel rigagnolo che senza di lui sarebbe rimasto sconosciuto, il Rubicone, e in una sequenza di incredibile velocità d’azione, senza spargere neanche una goccia di sangue, fece fuggire Pompeo e il Senato in Grecia. Era iniziata quella Guerra Civile che avrebbe visto le battaglie di Farsalo, Tapso e Munda.