di Luigi Proietti Orzella
Evento promosso dall’Associazione “Grazia Deledda” APS di Ciampino con il patrocinio di:
Città di Ciampino – Regione autonoma della Sardegna
Federazione delle Associazioni Sarde in Italia – Eurotarget Viaggi – Sarda Tellus.it
3 marzo 2024, ore 16, Cinema “Il Piccolissimo”, Ciampino (Roma).
Premetto di essere stato fin da bambino ammiratore di Gigi Riva. Lo dico per avvisare che non posso (e non voglio) essere obiettivo verso chi è stato il più grande attaccante del Dopoguerra in Italia. Ma per qualche anno anche in Europa, al fianco di Gerd Muller, e nel Mondo appena al di sotto di quel Mito che fu Pelè. Ma se il campione brasiliano per esprimersi in pieno poteva contare su squadre (Santos e Nazionale) zeppe di giocatori fuori del comune, Gigi Riva, no. Pur ammettendo che il Cagliari e l’Italia contavano su ottimi giocatori ed almeno un paio di veri fuoriclasse (in Nazionale Mazzola e Rivera), per il resto lui era attorniato da onestissimi, se pur bravi, lavoratori del Pallone.
La riprova di quello che affermo sta tutta nei risultati sia dell’Italia che del Cagliari in seguito al suo ritiro. Dopo il secondo posto ai Mondiali del 1970 ci vollero ben due lustri per rifondare una Nazionale che aveva perso il finalizzatore principe, mentre il Cagliari, da parte sua, cadde lentamente, inesorabilmente in una dimensione minore, fino al ritorno in serie B.
L’abbandono dell’agonismo fu principalmente dovuto al fatto che Riva era il bersaglio designato di ogni difensore violento. Era quello l’unico modo per fermarlo. Due infortuni gravi ne inquinarono la carriera e mi son sempre chiesto cosa sarebbe riuscito a fare se non li avesse subiti. Ma lui non si asteneva dal duello: abbozzava, senza lamentarsi. Era un guerriero che non conosceva paura.
Fatta questa doverosa premessa, parlo del Film.
Mi aspettavo di vedere una pellicola legata al Calcio, allo Sport. Dopo essermi seduto in prima fila, come facevo da bambino per evitare che mi impedissero la visuale (e per stare vicino alla Sindaca di Ciampino Emanuela Colella, graditissima e coinvolta ospite), ho saputo dall’amico Pierluigi Frigau, presidente dell’Associazione “Grazia Deledda”, che il film sarebbe durato due ore e quaranta minuti e che purtroppo, per motivi tecnici, non ci sarebbe stata interruzione. Ero preoccupato. Io sono un fumatore incallito e il richiamo di quest’abitudine si è accentuato già fin dalle prime scene perché il buon Gigi Riva durante l’intervista se la fumava beatamente, con evidente soddisfazione, emanando dense nuvolette di fumo. Una tortura su cui il regista indugiava a lungo. Poi pian piano, scorrendo le immagini, il timore che la lunghezza dell’opera potesse abbassare la soglia dell’attenzione è svanito ed il piacere del racconto mi ha abbracciato fino a farmi dimenticare il tabacco.
Non avevo mai immaginato quanto quest’uomo potesse essere stato (e credo per sempre sarà) così importante per il popolo sardo e per la Sardegna. Ho assistito ad un coinvolgente film di Sport che in tanti momenti si è trasformato in un trattato socio-culturale con preziose gemme di carattere educativo e pure qualche azzeccato accenno di carattere politico.
Uno spaccato sulla Sardegna che mi ha interessato, arricchito, rapito e commosso.
Il vero soggetto, sullo sfondo della figura del Campione, è stata proprio questa Terra, celebrata dall’immensa Grazia Deledda (spesso mi compiaccio di essere il genero di una sua nipote carnale), coi suoi eroi Giganti e in particolare Amsicora (lo stadio in cui questa ammirabile compagine bastonò di santa ragione tutte le squadre che vi mettevano piede, portava il suo nome) di cui Riva è una sorta di moderna reincarnazione. Perché così come l’antico condottiero fu promotore e guida della rivolta contro i romani nel 215 AC nella lotta contro un dominio prepotente, Riva fu il moderno condottiero, indiscusso, dall’affascinante bellezza che faceva girare la testa delle donne e suscitava la stima degli uomini. Il nobile guerriero venuto da lontano, adottato ed amato da una Terra che si ribellava allo strapotere politico, sociale e calcistico del denaro del Nord. Il film tocca tanti aspetti: i pregiudizi verso i sardi (in trasferta i tifosi avversari gli urlavano “pastori, banditi”); i maldestri tentativi di una industrializzazione in una terra visceralmente legata alla natura; l’ammirazione del popolo sardo verso quest’uomo schivo e taciturno dalla cui persona trasudava un passato difficile e pieno di solitudine, che non parlava mai a vanvera; l’amicizia con Fabrizio De André, altro forestiero adottato dai sardi, parco di parole quanto e forse più di lui.
“Il calcio mi ha salvato”, dice Riva. Già. Nel calcio aveva trovato la risposta alla sua sofferenza di orfano di padre in tenera età, e di madre da adolescente. Mi ha commosso vedere un uomo maturo che non trattiene le lacrime al ricordo della madre, dei grandi sacrifici di una povera donna che si ritrova da sola a crescere dei bambini; poi la sua infanzia in diversi collegi, le fughe. Proprio il calcio, che di solito è da tanti vissuto come un semplice gioco o uno spettacolo, ha dato a questo giovane il modo di vivere decorosamente. E di raggiungere una fama da renderlo appetibile a chi fa del “gioco più bello del mondo” un affare squisitamente economico. “Come faccio ad andarmene da un posto in cui la gente ha la mia foto tra i propri parenti?” Questa era la risposta a chi gli chiedeva perché avesse rifiutato le sirene del Nord, dove si sarebbe arricchito, avrebbe vinto Scudetti e Coppe.
Aveva ragione lui. Ed ebbero ragione anche tutti quei suoi compagni di squadra che rimasero in Sardegna al termine della carriera. Quella carrellata di dignitosi visi invecchiati dei suoi compagni di squadra mi ha profondamente commosso nella celebrazione di affetto verso di lui e verso un popolo che li ha amati e considerati come figli. Quando l’inquadratura mostra un Riva ormai vecchio, sulla spiaggia, che sorride alla telecamera, mi rendo conto che l’opera sta per finire e, incredibile a dirsi, nonostante la sua lunghezza, la cosa mi dispiace.
Ma il tempo è un galantuomo e la Verità emerge sempre. Dopo 160 minuti ininterrotti di immagini, parole, delusioni, trionfi, sconfitte, lacrime, gol magnifici, dolore, nostalgia, amore, paesaggi sublimi, mi accorgo che quel tempo non tornerà più.
Ad elencare per intero tutti gli episodi su cui scorre la pellicola e per esprimere quello che ho provato non mi basterebbe un libro. E’ giusto che si veda e si giudichi ciascuno secondo la propria sensibilità.
Di sicuro i calciatori di quell’epoca erano eroi genuini, gente del popolo che nel calcio aveva trovato lavoro, amicizia, riscatto e rispetto. Ma difficilmente se ne facevano travolgere.
E’ impietoso il paragone coi tempi attuali: adesso i calciatori sono frutto di allevamenti intensivi dove i giovani sono misurati, pesati e gonfiati come bistecche. Poca tecnica, tanta corsa e forza fisica, picchiano come fabbri e confronto a prima hanno poco rispetto per l’avversario. Al riguardo è doveroso dire che una tra le mille chicche del film è quando Sandro Mazzola racconta che durante l’intervallo di Inter-Cagliari a San Siro nel 1970, con la squadra sarda Campione in carica, già in vantaggio di due a zero, si avvicina e dice a Riva “Gigi, per favore, non ci distruggete, che i nostri tifosi non ci faranno uscire dallo stadio…” Alla fine il Cagliari vinse “solo” 3-1.
Ai milanesi concessero anche l’onore di fare il gol della bandiera.
Tantissimi moderni calciatori sono sospinti nell’illusione dei soldi facili da mille figure parassitarie e da ciarlatani che se gli tiri un pallone non riescono a fare tre palleggi, complici di certi genitori che fanno ribrezzo. Badate bene, io non appartengo a quella categoria di persone che affermano “si stava meglio prima”. Inoltre, ogni epoca ha i suoi pregi e difetti e questo dipende da ognuno di noi.
Aggiungo solo che rimpiango il tempo in cui andavo allo stadio per ammirare qualcosa di bello, così come mi successe al cospetto, per la prima volta, della Pietà di Michelangelo.
Gigi Riva rappresenta un Capolavoro, il Campione per antonomasia.
Un esempio, come calciatore e come Uomo. Uno che, per lealtà, ha rinunciato a vincere di più.