di Marco Moretti
Sommelier Ais
Capire il vino, vuol dire capire la terra che l’ha generato. Dovunque ci si trovi, assaporando un bel piatto di frutti di mare accompagnato da una fresca Falanghina del Sannio doc si ha l’idea di trovarsi in riva al mare di fronte allo splendido golfo di Napoli.
Ma la Campania non è solo falanghina la sua superficie vitata nel suo complesso ammonta a circa 26mila ettari, ne deriva un crogiolo di vitigni che rendono questa regione, per qualità e quantità dei suoi prodotti, fra le più interessanti in Italia.
Il vitigno a bacca nera più diffuso è l’aglianico con il 30,6%. È un vitigno a maturazione tardiva che non viene mai raccolto prima della festività di Ognissanti. I vini prodotti hanno buona tannicità e potenza. Il colore è un rosso rubino in età giovane per poi virare sul granato dopo aver fatto un necessario passaggio in barrique. Al naso emergono le note fruttate e le viole appassite, oltre a sentori terziari come tabacco, cuoio e terra bagnate.
Altro vitigno a bacca nera molto conosciuto nel mondo enoico è il piedirosso, comunemente chiamato per’e palummo o piede di colombo. Chiamato così per la caratteristica colorazione rossa dal rametto che congiunge l’acino al raspo, rendendolo simile alla zampa del piccione. È un’uva difficile, in quanto spesso favorisce un grande sviluppo di fogliame e una conseguente bassa resa di grappoli. Il vino esprime dei profumi di ciliegia con un tannino piuttosto delicato.
Fra i restanti vitigni a bacca nera, utilizzati perlopiù come complementari ai vini più coltivati, una specifica menzione merita il tintore, presente esclusivamente nella zona di Tremonti, che ha lo scopo dichiarato nel suo nome di dare maggiore colorazione ai vini rossi.
Passando ai vitigni a bacca bianca, come abbiamo già citato, troviamo la falanghina del Sannio o dei Campi Flegrei. Più strutturata e complessa la prima, con la possibilità di evolversi in legno e acciaio, più delicata la seconda e fragrante la seconda con sentori di fiori bianchi e frutta esotica, possibilmente da bere giovane.
Abbiamo poi il greco, un vitigno che matura in ottobre. Vino dai sentori di susina e biancospino, con una spiccata mineralità, va bevuto giovane.
Il fiano invece matura leggermente prima del greco, questo per permettere ai suoi grappoli di elaborare vini molto interessanti con sentori di pera, nocciola, tiglio e ginestra. Si presta al passaggio in legno grazie alla sua capacità di evolvere nel tempo. Vino con una straordinaria complessità olfattiva.
L’asprinio, pur non essendo particolarmente diffuso, deve il suo nome alla spiccata acidità che lo rende perfetto per il processo di spumantizzazione, sia con il metodo Charmat e sia con quello classico.
Concludiamo questo viaggio accennando a due vitigni a bacca bianca autoctoni dell’isola di Ischia. Sono il biancolella e il forestera due vini dalla spiccata sapidità con punte di mineralità grazie al suolo di origine vulcanica.