di Aurora Nardoni
Asociale e arcigno, sapiente in ogni campo e distaccato, spesso anziano e con un bel paio di occhiali sul naso.
Il suo tesoro più grande? I libri che custodisce.
Cosa lo spaventa più di tutto? Gli utenti che “osano” chiedere un prestito in biblioteca.
Una descrizione del genere può certamente strapparci un sorriso, nonché sembrarci lontana anni luce dalla realtà di una professione ancora troppo poco riconosciuta e tutelata.
Ma è davvero così?
Nell’immaginario collettivo la figura di un bibliotecario (o più di frequente di una bibliotecaria) con un atteggiamento ostile nei confronti del pubblico ha alimentato per anni la produzione di film, libri, fumetti e, in alcuni casi, persino quadri.
Ad oggi la maggior parte delle persone che non frequentano per nulla, o sporadicamente, una biblioteca, hanno la tendenza ad alimentare un altro stereotipo, più moderno e forse per questo più insidioso: la convinzione che un bibliotecario sia l’equivalente di un impiegato d’ufficio, con annessa l’immagine reputazionale della pubblica amministrazione italiana.
Un gruppo di persone svogliate e incompetenti, ansiose di prendere lo stipendio mensile e incuranti del servizio che, teoricamente, dovrebbero garantire a chi ne usufruisce.
Ma perché ancora oggi questo stereotipo è ancora così vivo e ampiamente diffuso?
E che cos’è, realmente, la professione di bibliotecario?
Un fattore che influisce senz’altro è la cosiddetta “paura della soglia”, una condizione psicologica per la quale si prova un senso di timore e insicurezza nell’avvicinarsi a un luogo associato alla cultura, risultando scoraggiante per tutte quelle persone che non hanno un livello d’istruzione medio-alto.
Un’altra realtà da prendere in considerazione è il rapporto, spesso burrascoso ma necessario, tra l’ente che gestisce il personale e il patrimonio bibliotecario e la pubblica amministrazione, poiché una buona parte delle strutture destinate alle istituzioni bibliotecarie in Italia sono di proprietà comunale.
Tutto ciò comporta da un lato l’immaginario collettivo che associa alla figura del bibliotecario un ruolo elitario e poco accogliente e dall’altro il mancato riconoscimento di una professione che richiede una formazione specifica, consapevole e orientata alla sua funzione primaria: quella di offrire un servizio pubblico, aperto a tutti e più possibilmente orientato alle esigenze di bambini, adulti e anziani.
Progetti che vanno oltre il servizio di prestito, come “Nati per leggere” o la facilitazione digitale rivelano quanto lavoro sia stato fatto negli ultimi decenni per trasformare le biblioteche e abbattere di conseguenza stereotipi e immagini popolari ormai obsolete. Con la redazione dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, inseriti nell’agenda 2030 dall’ONU, inoltre, le biblioteche non possono più essere quelle di una volta e la figura del bibliotecario ha bisogno, ora più che mai, di essere riconosciuta in quanto professione specifica e attiva nella costruzione di comunità inclusive, sostenibili e di pari opportunità, in cui la biblioteca non sia più percepita unicamente come un luogo dedito allo studio e alla lettura, ma un’istituzione votata alla promozione della cultura e dell’informazione tramite un servizio che, nel tempo, si è sempre più ampliato.
Essere un bibliotecario, in sostanza, non ha solo a che vedere con un servizio di reference dietro al bancone di accoglienza, o con l’acquisto di nuovi libri da destinare agli scaffali delle novità. Il bibliotecario di oggi è un ponte tra le nuove esigenze di una comunità che si sta indirizzando sempre più verso una società più inclusiva, creatrice di opportunità e in grado di offrire gli strumenti giusti a chiunque ne abbia bisogno.
E molti di questi strumenti passano per la biblioteca della nostra città.