di Marco Moretti

Agnese da tantissimi anni, per motivi familiari, ha lasciato questi luoghi, ma la nostra città, che l’ha vista da bambina, le è rimasta nel cuore

Una delle strade che si diramano dalla Chiesa sino quasi all’aeroporto si chiamava e si chiama tuttora via Francesco Baracca, circa a metà percorso sulla destra c’era una fiaschetteria con rivendita di vino; la tenutaria era mia nonna Ida Moretti (cioè la sora Ida), il vino le era fornito dalla vicina Marino uno dei Castelli Romani noto per la Sagra dell’Uva. Era bello vedere il pittoresco carretto a vino, dipinto con vivaci tinte, trainato da un cavallo infiocchettato con ventaglio di piume multicolori sulla testa sostare davanti alla bottega! Dal carretto il vinaio, anche lui col costume da carrettiere, scaricava le botticelle sistemandole su appositi scanni. Sento ancora l’odore del vino che impregnava l’ambiente e che veniva assaggiato sbicchierando. Era l’unico negozio della strada e di fronte era tutta aperta campagna. Quanta pace e silenzio! Sul retro della bottega con annessa abitazione c’era l’orto con la fontana per lavare, alberi da frutta ed ortaggi a piacere, anche se la nonna, fornita di borsa e di appuntito coltellino, preferiva andare in cerca della cicoria nei campi circostanti: conosceva tutte le pianticelle commestibili di cui rammento alcuni nomi: il bugalosso, l’ogliosa, il finocchietto, ecc. Che piacere quella cicoria ripassata in padella di cui rimaneva sempre un piattino nella credenza per il voglioso di turno. La sera d’estate si cenava all’aperto sotto un albero di gelso bianco, quando la luce lunga del tramonto inondava ancora il cielo e la terra. Nella bottega della nonna su scanzie di legno erano allineati alcuni vasi di vetro trasparenti da cui occhieggiavano piccoli cilindri di cartone rivestiti con carte di vari colori; per due soldi i bambini, dopo aver aperto un vaso, saggiavano avvicinandolo all’orecchio il rumorino che si spriginova all’interno di alcuni vari cilendretti; del più eloquente veniva acquistato l’involucro e aperto seduta stante, godendo della sorpresina ricevuta, misteriosamente nascosta all’interno. Erano le cosidette “Pésche” da me bramate a vagheggiate all’uscita della scuola. Eravamo bambini che si accontentevano facilmente di quello che potevano elargire loro i genitori; abituati più ai no che ai sì e che crescevano con il senso della misura, direi dell’economia e, perché no? Del valore del denaro. Era una comunità povera ma abituata ad apprezzare tante piccole cose della vita.
Altra grande attrattiva per i bambini era l’arrivo, d’estate, del gelataio Corradino (nella foto): arrivava con una bicicletta che spingeva un grosso involucro bianco a forma di piccola prua di una nave e sormontato da due coperchi di metallo argentato a forma di una grossa torta a strati conententi all’interno il gelato: due soli gusti, crema e cioccolata, per quattro soldi un piccolo cono: era un momento di delizia!
Un evento importante per Ciampino fu la costruzione di uno stabilimento adibito a distilleria con appositi macchinari per la lavorazione delle uve dei vigneti circostanti. Dell’uva non si gettava nulla: veniva pigiata, ridotta a mosto ed in parte ad alcool puro, i semi contenuti in ogni acino venivano raccolti, spremuti, triturati sino a farne scaturire l’olio di semi; gli acini stessi poi venivano compressi e ridotti a grosse torte rotonde e basse: si chiamavano pizze di pannello e si rivelarono un ottimo combustibile. Cose se non bastasse, la cenere ricavata dal panello bruciato era un ottimo concime. La storia dell’uva mi stupiva tanto da considerarla una dea benefica che sapeva dare veramente tutto di sè all’uomo.
Ricordo che quandon fu messa la prima pietra per l’edificazione della distilleria venne il Duce in persona. Ciampino si vestì a festa e persino sulla strada che Mussolini avrebbe percorso fu gettato un ben omogeneo strato di sabbia che rese la strada uniforme e soffice. Tra canti, bandiere e applausi passò il Duce, fiero ed impettito, sguardo sicuro e penetrante, passo marziale. Gli abitanti di Ciampino gravitavano intorno alla nuova fonte di lavoro ed operosità (tra cui si distinse per meriti particolari mio zio Ludovico Moretti). Nella distilleria si intravedeva un futuro lusinghiero, anche se una manodopera specializzata fu chiamata dal nord e soprattutto dall’Emilia-Romagna. Enologi ed esperti del settore vinicolo si stanziarono con le famiglie a Ciampino nell’ambito della distilleria e l’aria delle mogli, signore nordiche disinvolte, eleganti, leggermente disinibile, con usi e costumi più evoluti destarono lo stupore ammirato o addirittura la soggezione delle ciampinesi rustiche e non abituate a guardare al di là del proprio guscio. La visita del Duce a Ciampino avvenne poco prima del Natale ed io, a cerimonia finita, raccolsi un secchio della sabbia sottile che aveva ricoperto la strada e me ne servii per prepare il Presepio con stradine ben tracciate costeggiate da brandelli di morbido vellutato muschio verde, tolto attentamente con apposito coltellino dai muriccioli di recinzione delle case. Quanto fervore di preparazione! Quanta fantasia nel dar vita al paesaggio e nel predisporre le statuine! Allora noi ragazzini non conoscevamo affatto l’albero di Natale, né Babbo Natale, usanze apparse dopo la seconda guerra mondiale: luninarie e ninnoli di vari colori ci erano assolutamente sconosciuti.
Il Natale si svolgeva intorno al Presepio e l’unica luce era la candelina che si accendeva davanti alla capanna di Gesù bambino. Quanta devozione in casa, si andava alla Messa di mezzanotte imbacuccati per il freddo notturno insieme ad altre figure scure emergenti dalle varie casette e dirette in Chiesa: ricordo una notte serena e tranquilla e la luna piena, sopra il campanile, sembrava un punto sopra una “I” gigante. Campane, canti ed odore di incenso. Quante preghiere e promesse di bontà! I regali si dovevano ricevere per l’Epifania cioè per la Befana, la vecchietta viaggiante sul manico di una scopa con il sacco dei doni da dispensare ai bambini insieme a qualche pezzo di carbone segno di capricci e birbonerie da castigare.
Abitudini ed usi di un tempo che sa di favola che ci riporta il sapore di una genuinità, di un senso della vita basato sulla parsimonia, sul godimento delle piccole cose, ed è come una leggendaria preistoria della Ciampino di oggi, cittadina popolosa, dinamica, figlia della tecnologia imperante e della modernità.

(Fonte fotografica: Ciampino dall’Ottocento ad oggi Edito da Anni Nuovi)

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