di Luigi Proietti Orzella
Dopo 55 anni Alfredo ed io ci ritroviamo a giocare insieme. Ogni venerdì sera, innamorati del
“Gioco più bello del Mondo”, ignorando il tempo che passa, prendiamo parte ad una sfida a Calciotto.
Coi nostri 70 anni siamo i più vecchi in campo. Quello che ci sostiene è lo spirito di un adolescente.
Nel 1969 vincemmo insieme i Giochi della Gioventù, che si disputarono al Campo Comunale di Marino. Quella stessa squadra l’anno dopo formò l’ossatura della compagine che vinse il campionato Allievi. Giocammo insieme anche l’anno successivo, sempre nella squadra Allievi e poi le nostre strade si separarono. Io smisi di giocare a livello agonistico mentre lui continuò per parecchi anni ancora. Le strade delle nostre vite non si incontrarono fino all’inizio del 2023, quando per caso seppi che lui giocava ancora, ma a Calciotto. Gli chiesi se fosse possibile partecipare e da quel momento si è rinverdita una vecchia amicizia.
Ovviamente le gambe non sono più le stesse ma ancora rimane forte in noi la traccia di una visione antica del Calcio tra gentiluomini, che sia scevro da certi interventi duri e preferiamo evitare il contrasto se vediamo che potrebbe arrecare un danno all’avversario o a noi stessi. Ovviamente la nostra età non ci permette di fare i fenomeni e siamo consapevoli dei nostri limiti. Ogni tanto però, se capita l’occasione, ci concediamo un preziosismo di classe. Quello che ci fa piacere è ricevere il rispetto dei più giovani. Le squadre sono miste, l’età dei partecipanti va da un minimo di 17 anni ai nostri 70. Il lavoro arduo appartiene a Claudio, l’organizzatore, che sapientemente forma le squadre affinché siano equilibrate. Ma, immancabilmente, chi perde lo accusa di averle fatte male. La verità è che vince chi si passa la palla. Alla fine, mentre si va alla doccia, la frase d’obbligo è sempre la stessa: “L’importante è che abbiamo sudato e che non ci siamo fatti male”.
Non so per gli altri, ma per me il brutto arriva la mattina dopo. Mi alzo alle sei per portare fuori la cagnolina e mi rendo conto che è lei a trascinare me.
Cammino come un ubriaco e mi fa male tutto, dalla testa ai piedi. Mi sento come uno che la sera prima è stato picchiato di santa ragione in una rissa.
Mi chiedo sempre, ogni sabato, chi mi obbliga, a settant’anni a fare ‘sta cosa.
Ma dura fino a domenica sera, quando Alfredo mi scrive su Whatsapp: “Gigi, ho prenotato per la partita di venerdì, tu ci sei?” Il bambino che ancora vive in me, risponde: “Ovviamente. Grazie, amico mio. Ci si vede al solito posto”.