di Luigi Proietti Orzella

“…dopo averle passate in rassegna, esortò le truppe con poche parole, adatte alla circostanza presente. Chiedeva agli uomini che, ricordandosi delle battaglie svolte in passato, fossero valorosi, degni di loro stessi e della patria; e che non perdessero di vista il fatto che, in caso di vittoria sul nemico, non soltanto sarebbero stati saldamente i padroni della Libia, ma avrebbero conquistato per sé e per la patria una supremazia e un incontrastato dominio sul mondo conosciuto.”

(Polibio, XV – 10 – 2)

Erano passati degli anni da quando Amilcare Barca, sull’altare dedicato al dio Baal, fece giurare al figlio Annibale che un giorno avrebbe vendicato Cartagine, distruggendo Roma. E Annibale ci andò molto vicino.

Attraversò le Alpi con una velocità che sorprese Roma e inflisse agli eserciti dell’Urbe ben 4 sconfitte: Ticino, Trebbia, Trasimeno e, soprattutto, Canne. Fu questa la battaglia più disastrosa della storia di Roma. Per contrastare il cartaginese il comando fu assegnato a Quinto Fabio Massimo Verrucoso, detto “Il temporeggiatore”.

Ma Annibale, inspiegabilmente, si fermò nonostante avrebbe a quel punto potuto attaccare Roma, ormai senza difese. Tutt’ora gli storici si chiedono perché perse quell’occasione irripetibile.

Tutt’ora gli storici si chiedono perché perse una occasione irripetibile.

Ed io, lascio che continuino a chiederselo, perché non è di questo che voglio trattare, ma del fatto che, secondo me, fu Publio Cornelio Scipione poi detto “L’Africano”, che con la vittoria di Zama fece sorgere sulla Storia del Mondo l’astro millenario dell’Impero Romano.

A quei tempi per “Mondo” si intendeva il Mediterraneo: lontani e prematuri erano i tempi in cui Roma si sarebbe interessata dell’Oriente. L’universo romano era nel Mar Mediterraneo, dove Cartagine aveva dominato per secoli. Nei traffici all’interno di esso c’era la sopravvivenza in fatto di cibo e di mercanzie. Roma ancora non pensava di esportare la sua Cultura e la sua lingua.

La Storia di Roma cambiò grazie a Scipione.

Da Città Stato, con respiro provinciale, dopo Zama divenne Città guida, dominante.

Egli, ancora giovinetto, ebbe il padre e lo zio uccisi in un imboscata degli Iberici che avevano tradito l’alleanza con Roma, passando dalla parte di Cartagine. Anche lui, come Annibale, aveva quindi tanti motivi per odiare, con un forte sentimento di vendetta. E, destino, proprio in Spagna dove il padre morì, Scipione cominciò la sua carriera militare, forse la più fulgida di tutti i tempi.

E non è solo chi scrive a pensarlo: il grande storico Sir Basil Henry Liddell Hart lo considera più grande di Napoleone, Alessandro e Cesare nel libro “A Greater than Napoleon, Scipio Africanus.” (trad in italiano, Scipione Africano, edito da Rizzoli, 1981).

Conquistata la Spagna, Scipione ottiene il comando della Provincia Siciliana con facoltà, se lo ritiene necessario, di recarsi in Africa.

Ma a Roma i suoi oppositori politici, capeggiati dal Temporeggiatore, gli rendono la vita difficile. Da una parte sono mossi da motivi razionali, chiedendogli: Perché non affronti Annibale in patria, invece di andare in Africa dove potresti essere sconfitto e vanificare il buon lavoro svolto in Spagna? Ma sono anche mossi, da un’altra parte, dall’invidia nel vedere la sua stella crescere ed essere ammirata dal popolo che vede in lui un difensore. Il senato gli concede due legioni di poveri derelitti reduci dalla disfatta di Canne: gente sfiduciata che vive in esilio, lontana da Roma, accusata di viltà quando invece quella battaglia fu persa a causa dell’inettitudine dei comandanti. I Fabiani, con questa trappola sperano che con quegli scarti dell’esercito egli andrà incontro ad una sicura sconfitta. Invece, lui li raccoglie e agisce sulla loro voglia di riscatto, perché Scipione, anche se in seconda linea, era stato a Canne e provava gli stessi sentimenti di quei soldati. Inoltre gli giungono volontari da tutta l’Italia. Evidentemente c’è chi crede in questo giovanissimo comandante che sa soltanto vincere. Raccoglie in Sicilia 300 cavalieri e parte per l’Africa da Lilibeo, per approdare ad Utica, a una trentina di Km a nord di Cartagine.

Nella Città punica non ci sono eserciti ma ne vengono organizzati prontamente; inoltre alle sorti di Cartagine si unisce il Re dei Numidi Siface, con un esercito numeroso. Scipione ha all’attivo solo quattro legioni (di cui due sono di reclute inesperte) e circa 500 cavalieri, i citati 300 portati dalla Sicilia più 200 al seguito di Masinissa che gli offre la sua alleanza. Quest’ultimo è un principe eredita-rio che è stato scalzato proprio da Siface e si trova in esilio, seguito da pochi seguaci.

Il suo esercito è in grave inferiorità, ma con astuzia e colpi di mano degni dello studio dei più grandi teorici e generali di ogni epoca, Scipione riesce prima a distruggere ben due eserciti incendiandone di notte gli accampa-menti, e poi a vincere la battaglia decisiva, chiamata dei “Campi Magni”, che mette in ginocchio sia Cartagine che Siface, il quale perde pure il regno, spodestato da Masinissa.

Senza dilungarmi sulle vicende politiche che non portano a nulla se non a mantenere lo stato di guerra, Cartagine chiede ad Annibale di abbandonare l’Italia per difendere la sua Città. Il grande, ma stanco generale imbarca i suoi uomini sacrificando però i cavalli perché non c’è spazio sulle navi. Approda a Leptis Minor, a sud di Cartagine, e pone il Campo a Hadrumentum. Il primo problema è di dover ricostituire la cavalleria. Riesce ad arruolare dei cittadini ma, ovviamente, senza esperienza, e vanno addestrati. Riceve l’aiuto di un principe numida, Ticheo, che sa bene che se Masinissa dovesse vincere coi romani, il suo regno sarebbe in gravissimo pericolo e potrebbe perderlo. Gli porta 2000 cavalieri.

Scipione, da parte sua, capisce che far passare troppo tempo gioca a favore del suo nemico che ha il bisogno di addestrare le truppe inesperte, per cui fa di tutto per spingere Annibale a entrare in battaglia, facendo scorrerie e saccheggi intorno a Cartagine.

Pressato dai suoi concittadini Annibale alla fine decide di affrontare Scipione una volta per tutte, e lo fa ben sapendo che, anche se il suo esercito è più numeroso per quello che riguarda le truppe, Scipione ha però dalla sua parte una cavalleria nettamente superiore.

Prima della battaglia, che si svolgerà a Zama, si incontrano su richiesta del cartaginese che cerca un accomodamento: un ultimo, estremo tentativo per evitare di combattere.

Ma è destino che il futuro sia deciso dalle armi.

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