di Anna Belli
Vagabondando in internet si trova un po’ di tutto. Fuffa e cose serie. E naturalmente anche cose che corrispondono alla ricerca di senso. Cercare un senso alla vita è un bisogno primario, come mangiare, bere, dormire. Lo cerchiamo ogni giorno, ovunque: per ricorrere ad articoli presenti in questo numero, anche scrivere, recitare e ascoltare poesie oppure cercare contatti, sia pure effimeri e sia pure con sconosciuti, sui social risponde a questo bisogno.
Gli esempi che ho fatto riguardano la relazione con l’altro, in massima parte. Il poeta che scrive una poesia è in contatto anche con gli altri, ma in primo luogo con se stesso. La ricerca di senso si può dirigere verso l’esterno oppure verso l’interno.
Ed è in un caso di ricerca che si svolge anzitutto nell’intimità della persona che mi sono imbattuta, ironia del caso, su YouTube. Nel video di Natalino Stasi c’era un’intervista a un’eremita, Mirella Muià.
Suor Mirella, calabrese di nascita, si trasferì con la famiglia a Genova. Divenuta adulta, andò a vivere e lavorare, come insegnante nei licei e come ricercatrice universitaria, a Parigi. È stata sposata e ha una figlia. Per molti anni è stata atea. Ad un certo punto della sua vita, ha scelto un cambiamento radicale. È diventata eremita e le è stata affidata una piccola chiesa diroccata nella Locride. Non appartiene a un ordine religioso né ha sogni per sé oggi, ma spera che le Chiese d’Oriente e d’Occidente si riconoscano come una Chiesa sola.
Non voglio dire che la soluzione a certi contatti superficiali sui social sia farsi eremiti e abbandonare i social. Internet e i social sono semplici strumenti e possono essere utili o inutili in base alla nostra capacità di usarli. Ma è vero che trovare il senso della vita, della propria vita, può passare attraverso tante strade diverse. Sempre che l’essere sia la base della vita, e non l’apparire o l’avere. Parole semplici, attuazione ardua.
Eppure, la chiave per trovare il senso della propria vita, e quindi anche della felicità, è proprio cercare e seguire quel richiamo (di Dio, della Vita o della propria coscienza) che indica una certa strada: la nostra, diversa per ognuno di noi, che riusciamo a vedere solo se facciamo introspezione e, come dicevano a Delfi, conosciamo noi stessi.
Solo quando siamo fedeli a ciò che sta nel punto più profondo del nostro animo e ci sentiamo nati per vivere il momento in cui viviamo e ci sentiamo grati di questo, possiamo dare il meglio di noi stessi, essere felici e fare qualcosa anche per questo povero mondo.
In sintesi: va’ dove ti porta la coscienza (non il cuore: quando a fare è il cuore, inteso come impulso, di solito il cervello deve corrergli dietro a limitare i danni). E sii felice.