di Patrizia Gradito e Nicola Viceconti

“(…) potevano mettere a nudo nei minimi dettagli tutto ciò che avevi fatto, detto o pensato, ma ciò che viveva nel profondo del cuore e che seguiva percorsi sconosciuti anche a voi, restava inespugnabile”.

George Orwell – “1984”

 Per custodire il valore della democrazia e della libertà è fondamentale non dimenticare cosa hanno prodotto i regimi totalitari. Alla biglietteria di Bunk’Art 2 al centro di Tirana che abbiamo avuto modo di visitare recentemente – museo della storia albanese del XX secolo istituito nel più grande bunker antiatomico del Paese destinato al governo e ai membri del Politburo durante il regime comunista – si legge il monito[1] di Primo Levi tradotto in albanese.

Bunk’Art 2, situato al centro della capitale, fa parte dei 700 mila bunker antiatomici imposti da Enver Hoaxa, Primo Segretario del Partito del lavoro in Albania dal 1944 al 1985, oggi testimonianza di quell’imponente articolazione difensiva di tipo paranoide.

Proseguendo il tour nei pressi della maestosa cattedrale ortodossa, si presenta ai visitatori uno degli edifici più sinistri della storia europea, dapprima colonizzato dalla Gestapo (tra il 1943 e il 1944) e poi dal Sigurimi, le polizie dei servizi segreti più inquietanti di sempre che hanno adattato l’ex struttura sanitaria a base per le tentacolari operazioni di prigionia e spionaggio dei cosiddetti “nemici interni”.

Il quartier generale della polizia segreta si connota come luogo per interrogatori e torture: si aggirerebbe a oltre 5.000 la cifra delle esecuzioni realizzate durante il regime di Hoxha di attivisti, religiosi ma anche di cittadini solo sospettati di essere “sovversivi”, o in contatto con organizzazioni straniere. All’interno di questa sede si elaboravano i programmi di propaganda e repressione.

La denominazione attuale attribuita alla struttura è “Il museo delle foglie” istituito nel maggio 2017, in memoria delle “persone innocenti spiate, arrestate, processate, condannate e giustiziate durante il regime comunista“. Ci è bastato poco a capire che l’allusione contenuta nel nome del museo non è tanto ai rampicanti che percorrono l’edificio, quanto ai perenni fruscii dei documenti redatti, archiviati e sfogliati, ai bisbiglii, a quei suoni appena percepiti della febbrile attività che si svolgeva all’interno di quelle mura, alle voci terrificanti che correvano nelle strade di Tirana fino alla fine degli anni Ottanta, che raccontavano dell’organizzazione di contrasto alla dissidenza.

I cittadini sapevano di essere spiati e sorvegliati costantemente, nelle loro abitazioni, sul posto di lavoro, nei locali pubblici, da chiunque e ovunque. Chiunque poteva essere pedinato e diventare oggetto di intercettazioni in nome della legge. L’organizzazione era strutturata in modo gerarchico e si avvaleva di una fitta rete di collaboratori. Tutti potevano trasformarsi in delatori ed erano coadiuvati da tecnologie avanzate per l’epoca sulle quale il governo investiva ingenti somme, come testimoniato da diversi documenti di autorizzazione all’acquisto. Percorrendo i due piani del museo si possono osservare registratori, mini-telecamere, videoproiettori, microfoni, cuffie, ricetrasmittenti, amplificatori, binocoli, sistemi per la trascrizione delle intercettazioni e tanto altro. Colpiscono i resoconti dei “microfoni viventi”, ossia i vicini di casa pronti a origliare e riferire tutto.

Il museo della sorveglianza segreta illustra così uno dei periodi più bui della storia del paese. Il Sigurimi era specializzato per monitorare e reprimere qualsiasi attività che potesse minare il regime comunista di stampo stalinista e anti-revisionista guidato da Hoxha.

Un altro elemento di interesse è al piano superiore dove è ospitato il Panopticon – Panakustikon con le ricostruzioni dei laboratori del Sigurimi. Tradotto in “il posto da cui puoi vedere e udire ogni cosa”, si riferisce alla “prigione ideale” teorizzata nell’Ottocento dal filosofo utilitarista Jeremy Bentham, che garantiva una sorveglianza circolare, costante e completa delle singole celle. Tale modello carcerario è stato rappresentato nel film del 2021 intitolato “Aria ferma” diretto da Leonardo Costanzo con Tony Servillo e Silvio Orlando.

Il percorso dal Bunk’Art 2 al “Museo delle foglie” ci ha fatto riflettere sul privilegio di avere avuto in eredità un Paese democratico dove vivere, dove la libertà personale è garantita dalla Costituzione (art. 13). Il contatto con questa realtà storica ci ha fatto sentire la responsabilità di custodire diritti oggi inviolabili.

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