di Lina Furfaro

Ognuno di noi quotidianamente accumula emozioni che, pressando, necessitano di essere gestite.

La scuola punta continuamente a creare spazi/tempi per far emergere le diverse emozioni negli alunni; fa parte del lavoro scolastico. L’insegnante è la figura adulta che accompagna la crescita dei ragazzi “educando”, senza dimenticare che all’interno dell’aula si privilegia lo sviluppo delle competenze, attraverso le conoscenze, ovvero s’insegna a leggere, scrivere e far di conto.  In questo particolare ambiente che si viene a creare, subentrano anche esperienze, atteggiamenti, modi di fare della genitorialità che trasmettono identità. Le attività che il docente mette in atto permettono anche di conoscere i cambiamenti sociali; il docente con i suoi valori, giocoforza, viene a conoscenza dei valori delle giovani famiglie e vive i cambiamenti; nota per esempio che il conflitto generazionale è aumentato. Chi lavora nella scuola, soprattutto chi lo fa con continuità e la stessa fascia di età, può dire, comprovando con molti elementi, che la società oggi ha valori diversi o “moderni” e priorità che sono figli degli algoritmi. Il docente deve ravvedere puntualmente approcci e principi in sé radicati.  L’importanza dello studio e poi del lavoro è qualcosa che sempre più va insegnato, né si deve dare per certo che, senza che gli si creino gli ambienti, il bambino impari a fare amicizia, ad amare, a tollerare, a pazientare, impari il pericolo o il gustare un dono. Occorre sempre il percorso chiamato educazione. Nulla bisogna dare per scontato in questa vita che ci lascia liberi di scegliere tra male e bene, e la differenza si apprende vivendo in un certo modo. In tutto ciò rientrano le competenze sociali e i sentimenti, i quali si acquisiscono motivandoli. Madre, padre, nonni sono i primi che gettano il seme per sollecitare le emozioni. Poi vi è il contesto-scuola al quale è riversato un gravoso compito. Queste esperienze emozionali continueranno a crescere, a essere gestite se presto si creerà l’ambiente adatto.  Nella società contemporanea il bambino, oltre l’orario scolastico, spesso vive ormai circondato esclusivamente da adulti; in questi casi sperimenterà presto a scuola il confronto con i suoi pari nell’amicizia, nel litigio, nell’affetto per l’estraneo…  È da chiedersi se soltanto la scuola, così come è concepita attualmente, potrà o no sostituire appieno la vita deprivata all’interno delle mura domestiche.   Il tempo della ricreazione scolastica insegna e, osservando la validità e l’efficacia di quel tempo/spazio, in alcuni momenti “magici” non si vorrebbe mai disturbare il gruppo che si confronta e cresce sotto gli occhi dell’adulto.  Il bambino, dunque, ha bisogno di rapportarsi con i suoi coetanei anche fuori dalla scuola, anche al di fuori dell’ora di palestra o di piscina… altrimenti costruirà faticosamente poi relazioni e legami, scoprirà con fatica cos’è il sentimento dell’amicizia, l’affetto e tutto ciò che ruota intorno alle dinamiche sociali, di coppia, di gruppo.  Attraverso il gioco e il confronto con i coetanei, nei momenti condivisi come il fare merenda ed eventuali compitini, a casa propria o dell’amichetto/a, si creeranno dinamiche di gruppo che formeranno strutture indispensabili per affrontare la vita, formulare il pensiero e restituire identità. Il superamento di piccoli ostacoli, mentre l’adulto è nell’altra stanza, presente ma non troppo, porterà la mente del bambino ad attivare la creazione di autostima e consapevolezza dei propri limiti, dei propri successi, del senso dell’esistenza nel suo piccolo-grande mondo, della percezione della personalità propria ed altrui.   Soltanto così imparerà a reagire agli eventi in modo equilibrato. Nell’arco della particolare età della scuola dell’infanzia/primaria, i bambini sono assetati di momenti “liberi” tra loro; non vivono più per lunghe ore nel cortile, vivono lunghe ore in casa e occorre creare loro spazi per la crescita/socializzazione.

Nel percorso dell’educazione altro particolare che emerge è l’uso eccessivo del cellulare o smartphone che dir si voglia; è davvero deleterio (a parere della sottoscritta amante della tecnologia/informatica). Il tempo che il piccolo trascorre ‘così’ è tempo sottratto alla socializzazione, per non parlare poi della dipendenza.

Oggi purtroppo si notano situazioni altamente dannose come quella osservata personalmente in più occasioni: per ore adulti chiacchierano tra loro all’aperto lasciando bambini (avranno avuto dai quattro ai sette anni circa) davanti al dispositivo tecnologico collegato alla rete. La scena cui faccio riferimento in particolare è di una tavolata alla mia destra con sei bambini e quattro adulti. Alla mia sinistra altra tavolata con quattro bambini e sette adulti per un totale di dieci bambini: ciascuno per ore davanti al cellulare. Una solitudine negativa che incide fortemente. E se il contenuto è insalubre il danno della mente si espande a macchia d’olio. Gli educatori in classe notano i vuoti che si vengono a formare. Mi associo dunque ai pedagogisti, psicologi e personalità del mondo dello spettacolo che hanno lanciato l’appello al Governo italiano per vietare l’uso di smartphone ai minori di 14 anni e l’accesso ai social media ai ragazzi sotto i 16 anni.

La quotidianità è, tra le altre cose, esperienze emotive, dunque va vissuta!  L’utilizzo invasivo dei dispositivi tecnologici porta ad un certo isolamento, alla notevole diminuzione di tempo a discapito della socializzazione. Ciò logora le relazioni, non costruisce armi di difesa da utilizzare nei momenti di difficoltà, non costruisce elementi strutturali atti a vedere e ad apprezzare la vasta gamma di sfumature affettive. Il bambino che dissiperà il suo tempo in solitudine negativa arriverà all’adolescenza e alla giovinezza ‘senza attrezzi’; non avrà, al bisogno, gli “strumenti” utili per affrontare la vita.  Di “spazi mentali” se ne creeranno altri che spingeranno a una certa con-fusione tra reale e virtuale.

L’insegnante (passione, vocazione, perseveranza, metodi, conoscenze…) e la scuola, assieme alla speranza non sempre bastano a colmare i vuoti dell’educazione primaria/famigliare e il vuoto da confronto con coetanei.

Ancora una volta tutte le istituzioni sono chiamate a intervenire, oltre la scuola: affidiamo spazi e tempi, compiti pratici ai bambini e ai ragazzi, diamo loro fiducia e piccole responsabilità in modo da motivarli, farli fallire/riprovare/superare…ciò favorirà lo sviluppo delle competenze; diverranno abili nello svolgere alcune attività e acquisiranno così sicurezza e altri “strumenti” per crescere e vivere con se stessi e con gli altri.

1 commento su “Famiglia e scuola, siamo chiamati a creare <i>educazione</i>”

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