di Marco Moretti
(Sommelier Ais)
Per i profani, o gli astemi (ahimè poveri loro), uno spumante vale l’altro. Ma non tutte le bollicine sono uguali, perché il metodo tra uno spumante e l’altro può differire.
Siamo abituati a sorseggiare questi vini effervescenti accompagnandoli, normalmente, con piccoli spuntini durante un aperitivo oppure a fine pasto con un dolce, ma stiamo adottando l’abbinamento giusto?
Ci torneremo dopo.
Prima di tutto bisogna sapere che esistono due metodi, o meglio tre con il metodo ancestrale (anche se poco conosciuto e commercializzato), per portare alla spumantizzazione un vino e sono: il metodo charmat (o Martinotti) e il metodo classico.
Tutti sappiamo che il vino si ottiene da una fermentazione alcolica del mosto, grazie ai lieviti indigeni infatti gli zuccheri vengono trasformati in anidride carbonica e alcol. Ma nella spumantizzazione avviene una seconda fermentazione e il luogo dove questa avviene che differenzia principalmente un metodo dall’altro.
Nel metodo charmat, una volta esaurita la prima fermentazione, ne viene favorita un’altra attraverso l’aggiunta di lieviti e zuccheri. Il tutto avviene all’interno di autoclavi di acciaio a temperatura controllata.
Il vino, attraverso una seconda rifermentazione e dopo una fase che varia da 30 giorni a 6 mesi circa, è pronto per essere filtrato. Successivamente viene aggiunta una miscela di vino e zuccheri e si procede all’imbottigliamento. Il Prosecco è il tipico spumante prodotto con questo metodo.
Nel metodo classico, a differenza del charmat, la rifermentazione avviene direttamente in bottiglia.
Selezionata una base di vini che costituiranno la cuvée e con l’aggiunta di zuccheri e lieviti, le bottiglie, una volta chiuse, riposeranno in posizione orizzontale per un minimo di 24/36 mesi. Questo procedimento viene chiamato “presa di spuma”. È il periodo durante il quale i lieviti faranno il loro lavoro, ossia divoreranno gli zuccheri presenti in bottiglia e forniranno allo spumante il giusto grado alcolico.
Le bottiglie trascorreranno il loro tempo alloggiate su delle tavole inclinate chiamate “pupitre” dove verranno sistematicamente ruotate e inclinate (remuage) per far scendere i lieviti lisi sul collo della bottiglia.
Si procederà quindi alla sboccatura, la procedura attraverso la quale le fecce congelate verranno espulse dalla bottiglia. Si aggiungerà infine il liquer d’expédition (per colmare la piccola parte di liquido perso durante la sboccatura) ossia una miscela fatta di zuccheri e vino, perlopiù segreta e propria della cantina.
La tappatura ultimerà il processo. A quel punto lo spumante sarà pronto per essere commercializzato.
Due metodi e due tipologie di spumante: il primo (metodo charmat) sarà di pronta beva, con una buona freschezza e note fruttate; con il metodo classico avremo uno spumante più strutturato con chiari sentori di crosta di pane.
Per l’abbinamento dovremmo fare attenzione al residuo zuccherino presente nello spumante.
Per esempio uno spumante dolce (come l’Asti) potremmo accompagnarlo con un dessert o una macedonia, mentre con una spumante brut o extra brut potremmo abbinarci un risotto, un primo, del pesce o carni bianche. Un pas dosé (meno di 3 grammi di litro di residuo zuccherino) potremmo degustarlo accompagnandolo con delle ostriche, molluschi e crudité di pesce.
Insomma ce n’è per tutti i gusti.
Se volete godervi un buon prodotto laziale o portarlo ad una cena da amici vi consiglio Kius brut di Marco Carpineti, uno spumante ottenuto con metodo classico da 100% di uve Bellone (vitigno laziale).
Prosit e alla prossima.