di Patrizia Gradito e Nicola Viceconti

Chi di noi non si è mai trovato in situazioni simili di fronte a un interlocutore che si barrica dietro un atteggiamento palesemente impassibile e noncurante? Quante volte ci siamo scontrati con una sorta di apatia e il senso di impotenza che ne deriva, sempre più spesso frutto di una vera e propria strategia messa in atto nelle relazioni interpersonali?

Oggigiorno, negli scambi comunicativi sembra assopito ogni coinvolgimento autentico e reciproco tanto sui contenuti quanto sulle emozioni che da questi possono scaturire. Eppure, sentiamo ripetere le stesse domande: che fine hanno fatto i rapporti di una volta? Perché abbiamo perso la capacità di ascoltare e, con essa, l’interesse e la partecipazione per ciò che ci circonda?

L’aspetto più preoccupante è che l’indifferenza verso il prossimo spesso si sviluppa da un atteggiamento deliberato che, come riportato sull’enciclopedia Treccani “è accompagnato con tono di biasimo, condizione e comportamento di chi, in determinata circostanza o per abitudine, non mostra interessamento, simpatia, partecipazione affettiva o turbamento”. Purtroppo, quando si diffonde in una collettività coinvolge tutti, anche chi indifferente non lo è. Vivere in un mondo dove le persone decidono per scelta di non guardarsi più, conduce a una cecità ancora più grave, quella nei confronti della realtà sociale tout court. Perdiamo così di vista l’essenza del vissuto nel contesto d’appartenenza, smorziamo la vitalità dialettica e ogni impulso dinamico utile a favorire il cambiamento, scegliendo di rifugiarsi in una zona chiusa, solo all’apparenza più confortevole ma che inevitabilmente finisce per sfociare in un appiattimento.

Effettivamente, restare indifferenti ostacola la forza della solidarietà e l’elaborazione di iniziative finalizzate al bene comune, quelle che per essere portate avanti hanno bisogno di una partecipazione attiva. L’indifferenza favorisce l’individualismo, penalizza la cooperazione e porta all’anomia.

E se per gli epicurei l’imperturbabilità rivelava una connotazione positiva, poiché riferita alla persona saggia che aveva raggiunto uno “stato tranquillo dell’animo che, di fronte a un oggetto, non prova per esso desiderio né repulsione”, ovvero lo stato di atarassia, è a livello politico-sociale che un simile atteggiamento mostra, a nostro avviso, tutti i suoi effetti negativi.

Il non prendere posizione e il non schierarsi è illustrata perfino da Dante nel III Canto del Purgatorio quando presenta gli “ignavi” che, non avendo mai avuto stimoli in vita, sono condannati a rincorrere un’insegna perennemente punti da sciami di vespe.

A conclusione di questa nostra breve riflessione sull’importanza della scelta responsabile non possiamo non citare Antonio Gramsci. Lo studioso aveva ben chiaro quali fossero le conseguenze di un simile atteggiamento già nel 1917 quando pubblicò sulla rivista La città futura un testo destinato a rimanere nella storia; “Vivere significa partecipare e non essere indifferenti a quello che succede …/… L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”.

 

La poesia “Gli indifferenti” fa parte della raccolta “Corrispondenze” di Patrizia Gradito e Nicola Viceconti (Rapsodia Edizioni – 2022)

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